In tema di sospensione dei termini procedimentali ed endo-procedimentali, l’art. 37 del decreto-legge n. 23 dell’8 aprile 2020 ha stabilito che “il termine di sospensione del 15 aprile 2020 previsto dai commi 1 e 5 dell’art. 103 del decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 è prorogato al 15 maggio 2020”. Medio tempore, sulle sorti economiche degli operatori-appaltatori di lavori, i quali, è bene ricordarlo, si trovano a far fronte ad una crisi di liquidità senza precedenti nella recente storia repubblicana, il Legislatore ha preferito obliare.

Chiunque abbia a che fare con un appalto di opera pubblica sa bene che congelare per 60 giorni (e forse più) l’esecuzione contrattuale può avere per un operatore economico (il quale, nel frattempo, deve sobbarcarsi gli oneri di mantenimento della struttura) finanche effetti drammaticamente ferali.

In parziale soccorso giunge l’art. 107 comma 2 il quale prevede che “qualora la sospensione, o le sospensioni, durino per un periodo di tempo superiore ad un quarto della durata complessiva prevista per l’esecuzione dei lavori stessi, o comunque quando superino sei mesi complessivi, l’esecutore può chiedere la risoluzione del contratto senza indennità; se la stazione appaltante si oppone, l’esecutore ha diritto alla rifusione dei maggiori oneri derivanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini suddetti. Nessun indennizzo è dovuto all’esecutore negli altri casi”.

Alla luce del dettato normativo appena menzionato, il suggerimento pratico che ci sentiamo di dare ai lettori e che abbiamo proposto ad alcuni nostri clienti al fine di evitare di sopportare costi eccessivi è, in presenza del superamento di almeno ¼ della durata contrattuale, di avanzare istanza di risoluzione ai sensi del 107 comma 2 Cod. App.

A questo punto si apriranno due strade: 1. in caso di accettazione della risoluzione da parte della S.A., l’operatore economico avrà diritto al pagamento delle opere effettuate al prezzo pattuito tenuto conto del ribasso d’asta; 2. Ma, in caso di rigetto della proposta di risoluzione, ed è questo ciò che interessa, l’appaltatore avrà diritto alla refusione dei maggiori oneri medio tempore patiti, pur essendo questi attribuibili  a causa di forza maggiore. Detti maggiori oneri si calcolano unicamente sul tempo eccedente il “quarto” contrattuale (es. se l’esecuzione di un appalto d’opera necessita di 100 giorni continuativi di lavorazioni, i maggiori oneri si calcoleranno a partire dal 26° giorno).

Trattandosi di vis maior cui resisti non potest, indi non di risoluzione per inadempimento della S.A., deve ritenersi che in punto di pagamento delle opere effettuate non trova applicazione il principio giurisprudenziale per cui “in caso di risoluzione del contratto di appalto per inadempimento del committente, quest’ultimo, non potendo restituire l’opus parzialmente eseguito dall’appaltatore adempiente, è obbligato, per l’esigenza di reintegrare la situazione patrimoniale dell’altro contraente, a corrispondergli il valore venale dell’opus medesimo con riferimento al momento della pronuncia di risoluzione, nella quale l’obbligo trova la sua fonte, e non con riferimento ai prezzi contrattuali delle opere eseguite” (cfr. Cass.; Sez. 1, Sentenza n. 12162 del 24/05/2007; Cass. nn. 106/1972, 2871/1992).

Contributo pubblicato su http://www.infoappalti.it/news/rasstampa/appalti/articoli/2020-04-15-appalti-risoluzione-contratto-maggiori-oneri-covid-19.htm

A cura del Dott. Matteo Macari


0 commenti

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.